Critica

Brancaleone Cugusi da Romana: la critica delle opere

Nella Zoja

Molti quadri fatti, molti distrutti, relativamente pochi quelli salvati dalla sua incontentabilità. La sua stessa incontentabilità, alimentata da uno spirito critico che si accaniva su un temperamento estremamente personale, la sua stessa dura pazienza a tenersi le opere lungamente per sè, a non cedere a nessun gusto del pubblico, a non derogare da quella che si era prefissa per meta, erano il peggio gettato nel futuro della fede nell’opera sua. Salvata dalla vita, dalla giovinezza, non aveva che quella. L’opera sua, la sua vita: a un grado di identificazione che solo le creature predestinate raggiungono.

 

Antonello Zintu

Cognome di nascita era Cugusi, ma il nostro pittore, convinto che i nomi avessero importanza su la vita degli individui, amava autochiamarsi da Romana, dal suo luogo di nascita, paese di Sardegna di poche migliaia d’anime. Trentanoveanni visse o meglio lottò e soffrì e, per appagare la sua anima incontentabile e, per calmare la sua ardente sete di manifestarsi, quale si sentiva, in opere che sapessero d’eterno. Si nota in tutta l’arte cugusiana una ricerca spirituale, una profonda intima comprensione dell’umanità, specialmente di quell’età più sincera che è la fanciullezza e giovinezza.

 

Vittorio Sgarbi

Brancaleone Cucusi da Romana era un formidabile fotografo. Le sue tele sono tutte a grandezza naturale; essa viene garantita dal procedimento reticolare, che consente di non deviare neanche di un millimetro dal prototipo fotografico. Brancaleone Cugusi non copiava le fotografie. L’anima era nella pittura e, nella capacità di cogliere l’elemento che sfugge alle fotografie, l’ombra.
Nessun pittore, neanche Caravaggio ha dipinto l’ombra come Cugusi. Disegna e dipinge sulla tela come sul telaio, usando una pittura dalla pasta fluida e mobile, quella che lui chiamava “a tutta pasta”.